Federica Maria Giallombardo, Ricercatrice, giornalista per Artribune

Articolo pubblicato il 10  giugno 2020 su Artribune

SOSTRATI DI MEMORIA. ANDREA CHIDICHIMO A TORINO

White Lands Art Gallery, Torino. La relazione tra memoria e immagine al centro della pratica artistica di Andrea Chidichimo, in mostra nella galleria torinese.
Già prima della pandemia, il mercato dell’arte contemporanea sembrava mostrare il suo affanno tramite segnali molto chiari; oggi più che mai si rende necessario interpretarlo di nuovo e in modo diverso non solo alla luce di ciò che è capitato negli ultimi mesi, ma anche sulla base di come desideriamo impostare il domani dell’intero sistema galleristico. Quello che mi auguro è che questo momento di grande incertezza spinga gli operatori, e parlo dei miei colleghi in particolare, a uno spirito di coesione in modo tale da poter costituire, in maniera organica e compatta, strutture e progetti comuni che possano stimolare e sostenere l’intera proposta contemporanea italiana”.
Così esordisce Luca Cena, curatore e gallerista di White Lands, a proposito del futuro delle gallerie d’arte subito dopo il lockdown. E allo stesso modo riflette, nell’allestimento come nella scelta delle opere, la mostra Di volto in volto di Andrea Chidichimo (Torino, 1975), intersecando l’introspezione singolare sul ricordo e la rappresentazione ai recenti avvenimenti, incancellabili e anzi necessari per poter acquisire nuove consapevolezze. Dedicate alla relazione tra immagine e memoria – tra il reale che attende di essere compreso e lo sguardo che, attraverso la memoria, lo accoglie nell’intelletto –, le opere di Chidichimo delineano volti paradigmatici, sequenze e paesaggi che avvolgono l’osservatore con il loro lessico familiare, ricercato ma rassicurante. Sono soggetti che si riconoscono e si rinnovano costantemente nelle matasse infinitesimali della memoria; archetipi dell’umanità e del suo errante ricostituirsi. Si aggiunga l’ineccepibile acutezza nell’uso del materiale e nell’abilità tecnica, che veicola sempre significati, come afferma l’artista:
Mi piace tornare alla pittura, alla tecnica, al metalinguaggio e a una trasmissione di contenuti che si rende capace di infondere stimoli al nostro apparato percettivo su più livelli di significato: filosofico, psicologico, spirituale, cognitivo. È un processo sicuramente lento, che viaggia a una velocità diametralmente opposta a quella a cui siamo oggi abituati“.

LA MOSTRA DI ANDREA CHIDICHIMO

La mostra è strettamente legata al pensiero filosofico, simboleggiato da un allestimento alquanto curioso, ispirato alle linee delle sinapsi nervose – ma anche a una rete di contatti sociali. Infatti, il cardine dell’esposizione è l’arte della memoria, che, per il filosofo campano Giordano Bruno, consisteva nella propensione con la quale ogni l’essere umano è stimolato a “intendere, discorrere, formare immagini per mezzo delle facoltà della fantasia, e talvolta anche a sentire come vogliamo”. L’arte della memoria è perciò una rete comune; essa può considerarsi una “scrittura” o (meglio ancora) una “pittura” interiore:
Nel mio lavoro è sempre stato fondamentale costruire una relazione diretta col Profondo, sulla linea delle esperienze su cui già approdarono Giordano Bruno, Raimondo Lullo, Jung, Erickson, Climaco e chissà quanti altri. Da questa relazione col Profondo e grazie a Luca Cena è nata la produzione di questa mostra: trovate qui delle tracce mnestiche, di una Memoria previa, all’origine del Ricordo. Ed è proprio il ricordo del sé che ha permesso la scaturigine di questi dipinti“.
Un ultimo appunto, una curiosità. All’interno dell’allestimento, vi è un contenitore pieno di foglietti di carta arrotolati: il visitatore può estrarne uno e portarlo via con sé. Sono piccoli ritratti realizzati in sette secondi; una prima impressione che riallaccia il recondito al presente dell’esperienza espositiva.

Federica Maria Giallombardo

Luca Cena, Gallerista WHITE LANDS ART GALLERY

Mostra personale DI VOLTO IN VOLTO

Andrea Chidichimo non dipinge. Andrea si immerge con anima e corpo nel Reale: lo esplora, annega
dentro, sfiora quell’attimo in cui le sfumature diventano ombre e risale in superficie per raccontarcele.
Rischia, sempre e consapevolmente, di essere smembrato dall’inconscio ma sa come salvarsi e noi siamo
qui ogni volta ad aspettarlo in attesa di ammirare i suoi ricordi di viaggio. Questo è Andrea Chidichimo,
un viaggiatore, un oniro-nauta che sa muoversi con piena coscienza nell’inconscio.
Non poteva che essere eccezionale il viaggio che Andrea ha cominciato mesi fa, quando un organismo di
dimensioni submicroscopiche è piombato nelle nostre vite stravolgendole, destabilizzandole e
allontanando tra loro persone e affetti, lasciando solo i volti dei ricordi.
Un momento drammatico per tutti noi. Un'occasione di consapevolezza per l’esistenza di ognuno. Andrea
si è inabissato, con coraggio e altruismo, nell’oscurità della distanza umana, da se stessi e dagli altri.
Nell'Abisso ha incontrato i volti angosciati dell'abbandono, della solitudine e di ciò che rifiutiamo, il
vissuto di tutti noi ma anche i luoghi profondi dell'anima dove risiede ciò che amiamo e sognamo. Li ha
raccolti per permetterci di ricongiungerci a loro. Ecco quindi che la malinconia diventa sollievo, un
ritrovarsi che abbiamo atteso per tanto tempo.

Roberto Mastroianni,  Filosofo, curatore e critico d'arte, direttore del Museo Diffuso della Resistenza di Torino

Catalogo della mostra Hamon.
Esperienze cromocimatiche Multiplounico

Eccentrica figura di artista contemporaneo, Andrea Chidichimo ci presenta una mostra coinvolgente e densa di senso e significato dal titolo "Hamon. Esperienze Cromocimatiche", ospitata nella sede Di "MultiploUnico" di Federica Rosso. Eccentrico perché capace di vivere la sua contemporaneità e nello stesso tempo incarnare una memoria antica dell’arte e dell’esistenza umana, rifiutando la centralità delle retoriche e delle pratiche del circuito mainstream, ponendosi al di fuori di esso e recuperando temi e conoscenze universali e atemporali, al fine di interrogare il gesto e la materia in una ricerca di verità che si fa visione e immaginario. Sicuramente contemporaneo, Chidichimo, nel senso che si muove nella temporalità del millennio che sta nascendo, usando linguaggi e materiali allo stesso tempo tradizionali e innovativi, ma al contempo è artista antico, che rivendica la potenza dell’arte e della pittura: la capacità conoscitiva, immaginativa e creativa del fare artistico che si fa immagine, immaginazione e immaginario.
Da anni l’artista si dedica infatti a una pratica che ha a cuore i temi e i problemi attuali dell’arte e della pittura (la ricerca su forma, materia e colore) e che è in parte erede di quella "linea analitica dell’arte moderna e contemporanea", che Filiberto Menna ci ha insegnato essere la cifra stilistica degli artisti veramente moderni; ma al contempo si fa erede di tutta quella tradizione pittorica, in qualche modo "iniziatica", che dialoga con la realtà alla ricerca delle insondabili leggi del cosmo e delle "cose nascoste sin dalla fondazione del mondo", direbbe René Girard.
La straordinaria capacità di Andrea di mettere assieme: da una parte, sperimentazione su gesto, forma e colore e interrogazione sul rapporto tra idea, esecuzione e opera, sviluppando una riflessione sulla pratica che si accompagna alla stessa esecuzione, ne fa sicuramente un artista modernissimo e in qualche modo analitico; mentre, dall’altra,  il recupero di temi esistenziali e spirituali e della memoria stessa della pittura che si sedimenta nel gesto della mano, ne fa in qualche modo un artista antico.
Questa tensione tra modernità e antichità lo spinge a cercare una sintesi tra il bisogno di espressione e  la ricerca linguistica, che si condensan in opere dense, in cui l’immagine e l’immaginazione rifuggono la figurazione realistica e interrogano le leggi del colore e del suono in una forte tensione spirituale, quasi mistica.
Chidichimo è, infatti, un artista che vede nella pittura uno strumento di indagine filosofica ed esistenziale, che conduce una ricerca sulle potenzialità del gesto e dei materiali e che tenta di rendere visibile l’invisibile, attraverso una rappresentazione non figurativa, che cerca di rendere ragione delle potenzialità della luce, del suono e dell’esistenza umana in visioni emotive, che scaturiscono da una forte introspezione.
In questa prospettiva, la sua arte non può essere scissa dalla ricerca della conoscenza, dalla ricerca sulle questioni prime e ultime dell’esistenza, e da una dimensione spirituale in senso più ampio e meno dogmatico possibile.
Il destino e la stessa natura di artista di Chidichimo sembrano essere iscritti nel suo cognome. Un cognome che, come ha ben indicato alcuni anni fa Armando Audoli, "sa di tardo paganesimo: di quel tardo paganesimo ermetico e profumato di eresia, appena ispirato alle dottrine cristiane delle origini.
La Gnosi, appunto".
Apparentemente un artista del XXI secolo, in verità un artista atemporale, la cui  ricerca spirituale si nutre della conoscenza delle leggi insondabili dell’universo, impostando una ricerca che prende le forme del gesto pittorico, attraverso un’azione quasi performativa e un percorso rigoroso, che  approfondiscono il legame tra pittura e figurazione in un reciproco rapporto di co-esistenza: la pittura rende possibile il prendere forma in immagini del sensibile e dell’emotivo e l’interiorità chiede alla pittura di essere resa sensibile e visibile. Dietro questa impostazione si nasconde una fede incrollabile nell’intelligenza della materia, che tutto riporta a ordine a partire dal caos, e una pratica capace di unire studio, applicazione, conoscenza della scienza e del materico, in vista di una creazione che aspira a raggiungere la realizzazione di "opere totali" dal sapore "rinascimentale".
È questa una spiritualità infatti che si fa interrogazione della materia, delle sue potenzialità espressive a partire dalla stratificazione culturale di natura esoterica ed essoterica, che il religioso e il filosofico ci consegnano da millenni come fonte inesauribile di riflessione sull’Assoluto e sulle leggi che presiedono lo sviluppo della realtà.
Ne abbiamo prova a partire dal titolo di questa mostra in cui una parola giapponese, che indica una forma di energia capace di integrare stasi e movimento, risuona alle nostre orecchie dei nomi di antiche divinità pre-cristiane: come "Baal Hammon”, il "Saturno africano", Dio supremo della fenicia Cartagine e “Amon-Ra”, il Dio Egizio del Sole. In entrambi i casi le risonanze ci indicano la via tracciata da divinità e concetti che presiedono l’ordine del mondo e la sua perpetua realizzazione e rigenerazione, sconfiggendo il disordine, il caos e l’entropia.  La conoscenza delle leggi "divine", intese, ovviamente, nel senso più ampio e meno ortodosso di leggi cosmiche, diventa dunque fine e presupposto di una pratica artistica che attraverso la pittura interroga la realtà interiore ed esteriore.
Come in questa mostra in cui decine di opere, realizzate tra il 2014 e il 2019, mettono in scena una doppia ricerca sul colore e la sua assenza, sul flusso e la struttura, sul suono e la materia, sul gesto artistico e sullo sguardo del fruitore, a partire da una serie ispirata ai "Fiori Di Bach" e dai suoi ormai celebri lavori realizzati con la fuliggine e la graffite.
I "Fiori di Bach" diventano, in questo modo, un pre-testo, una sollecitazione immaginativa e filosofica, per riflettere sulla capacità del colore di restituire la complessità emotiva, le angosce e i tormenti dell’esistenza umana, realizzando una figurazione a partire dai fiori e dalla loro capacità curativa: rispettando le regole floroterapiche dei "Bach" e mettendo in scena il risultato di un’azione performativa quasi catartica che rende i quadri visioni di tipo omeopatiche, capaci di sollecitare il mutamento e l’interrogazione interiore nel fruitore.
Mentre la sua pittura realizzata con la fuliggine e la graffite, usate entrambe come se fossero materia pittorica che risponde alla sollecitazione del pennello, del suo battere sulla tela o sul supporto producendo onde e suoni impercettibili che da soli generano movimento e organizzazione geometrica e figurazione, interroga le leggi dell’armonia, del suono e del colore che presiedono il condensarsi della realtà in un’organizzazione materica, che risponde a geometrie stabili influenzate dalla cinetica e dal colore.
Insomma, Andrea Chidichimo come quei mistici che scelsero l’ascesi nel IV secolo -  quando il cristianesimo cominciò a imborghesirsi e a perdere il suo portato di verità e di mistero -proponendosi di mantener vivo il sogno di una ricerca spirituale andarono nel deserto, sceglie di vivere un “deserto” metaforico, una specie di perenne esercizio spirituale, che lo spoglia degli input del circuito dell’arte, permettendogli così di praticare una ricerca artistica in direzione della realizzazione di un “arte totale”, quasi rinascimentale, integrando pittura e conoscenza, al fine di sondare le dimensioni esistenziali più profonde dell’umano.
Gli asceti andarono nel deserto per trovare la terra promessa all’interno della propria anima e trovarsi a tu per tu con l’Assoluto vivente, così Andrea interroga l’esistenza nel silenzio del suo studio alla ricerca delle leggi insondabili che tengono insieme figurazione, realtà, esistenza e spirito dell’uomo. Queste “esperienze cromocimatiche” sono, dunque, una “traccia” di questa pratica artistica e spirituale, uno dei tanti risultati di questa ricerca interiore che, con un neologismo calzante e appropriato coniato dall’artista, indica:  "un’esperienza cognitiva inerente al fare artistico collegata alla capacità di vedere la foné in una figurazione", dando vita a "un’esperienza trasversale che osserva e realizza fenomeni legati allo spettro della luce, alla frequenza musicale, al verbo (suono – frequenza), che si fa carne (che genera materia)". Insomma, la ricerca sull’ordine che risiede nel caos, che le leggi del cosmo portano a realtà e che la figurazione porta a rappresentazione aniconica, sono il risultato e la prassi di un artista che produce opere in modo performativo, con un atteggiamento prossimo all'abbandono dei mistici, nel tentativo di abrogare la coscienza ordinaria, al fine di realizzare opere pregne di filosofia e saperi antichi e sofisticati, opere che sono al contempo liriche, esteticamente rilevanti e densamente speculative. 



Armando Audoli, critico e storico dell'arte

Chidichimo. E subito il cognome ci cattura, schioccando tra lingua e palato con il suo suono arcaico irto come gli sterpi della Magna Grecia. È un cognome che sa di tardo paganesimo: di quel tardo paganesimo ermetico e profumato di eresia, appena ispirato alle dottrine cristiane delle origini.
La Gnosi, appunto.
Un riferimento spirituale imprescindibile per avvicinare il pensiero artistico di Andrea Chidichimo. La conoscenza del "divino" (inteso, ovviamente, nel senso più esteso e meno ortodosso possibile) forza il passo alla lucidità apparente, allena i ceppi della tenuta razionale, aprendosi a qualcosa che vagamente possiamo definire come un'illuminazione diretta o come una sorta di rivelazione. Qualcosa di prossimo all'abbandono dei mistici, di liminare all'infinito smarrirsi dei romantici. Un perdimento, uno svuotamento, un vanimento. Un'abrogazione della coscienza ordinaria. Nell'esperienza gnostica la tristezza e l'angoscia emergono con prepotenza decisiva. Sono gli spettri che conducono ad un alto grado di conoscenza. Ma saranno gli stessi spettri a fluttuare, fantomatici, nei pannelli laterali del trittico Ichthys?
Lo avrete capito: impregnata di filosofia e di saperi sofisticati, lirica e speculativa a un tempo, l'arte di Chidichimo non rappresenta e non descrive. Medita. Con le sue ondivage increspature, con le sue vertigini e le sue fuliggini, ci profonda in una notte medianica. È un'arte che mette in consonanza lo spettatore attraverso frequenze cerebrali figlie del sonno e del sogno; un'arte che ci abbaglia e ci svuota, per poi riempirci di sé. Ma a svuotarci sarà proprio il baratro bianco, lo squarcio abbacinante nel pannello centrale del già evocato trittico?
Andrea, sebbene culturalmente incline al misticismo speculativo, non si fa portavoce di alcuna dottrina costituita. Il suo lavoro, piuttosto, ci dice ancora una volta "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", intonando il credo di una moderna teologia negativa.
E non nascondendo qualche debito nei confronti dei febbrili filosofemi di Meister Eckhart, le trasfigurazioni visive di Andrea parrebbero suggerirci che la sola beatitudine sia il non sapere più nulla di noi, del nostro mondo.
Anche se può sembrare un paradosso, infine, pensiamo che i moti ondosi e le fuliggini di Chidichimo aspirino a sfondare la densa nebbia delle opprimenti gerarchie psichiche codificate. Una nebbia inviolabile. A tal proposito, chiudiamo porgendovi un frammento gnostico, spulciato da uno dei documenti scoperti a Nag Hammadi, nel 1945: "L'ignoranza del Padre aveva causato angoscia e terrore. L'angoscia si era fatta densa come nebbia, in modo che nessuno potesse vedere..."

Ivana Mulatero, storica dell'arte

Catalogo della mostra Inuit e i popoli del ghiaccio - Museo Regionale di Scienza Naturali di Torino - ed. SKIRA


"Andrea Chidichimo è tra gli artisti dell'ultima generazione emersa nel panorama artistico torinese agli albori del XXI secolo. Il suo fare pittorico scavalca l'atteggiamento ordinario dell'osservatore per farlo entrare in contatto con la propria intimità, alimentata dal progressivo svelarsi dell'ancor sconosciuta ricchezza di sé."
"... infine la carta è un dato reale per Andrea Chidichimo in cui far emergere i limiti entro il quale l'uomo è definito e compreso. Fuliggine graffite olio resine ed acrilici sono gli strumenti per ricreare un ordine primordiale simile a quello nel quale si aggiravano i cacciatori inuit, guidati da una cosmogonia in cui il caos e l'ordine erano entrambe presenti alla mensa della vita e dove tutti gli esseri viventi convivevano in totale armonia."

vedere..."

Gabrialla Crema, giornalista

"Un rinoceronte con la coda sul dorso e quattro zampe tutte diverse tra loro, uno strano essere con il capo da elefante e il corpo da sirena, un uccello bianco con un lungo becco arancione e con una pinna sul fianco. Questi animali buffi, ironici e surreali - che sembrano usciti da un bestiario medioevale o dalla tela di un pittore fiammingo o più semplicemente da un sogno - sono i soggetti ritratti dal giovane artista torinese Andrea Chidichimo, che da alcuni anni si dedica con passione ad un progetto di ricerca artistica incentrato sul tema degli animali scartati da Noè. «Quelli che raffiguro - spiega - sono gli animali che non sono sopravvissuti al Diluvio e hanno perso così, oltre che la propria vita, la possibilità di tramandare la specie; gli esseri viventi che Noè non ha voluto accogliere sull´Arca, forse solo per motivi di spazio, e che così sono annegati. Ho scelto di improntare la mia opera all´episodio biblico perché credo che tocchi l´inconscio collettivo di ogni essere umano; così come il concetto di animale fantastico e immaginario che è da sempre presente in ogni cultura. I miei lavori raccontano il dramma dell´essere vivente che non può essere salvato, ma anche l´incredibile capacità degli animali di accettare la propria morte senza disperarsi, abbandonandosi al diluvio e al proprio destino con serenità»...."
La Repubblica, edizione di Torino del 17 maggio 2006

Katia Girini - Corriere dell'arte 

La sostenibile evanescenza dell’arte: la marca stilistica di Andrea Chidichimo


Tratti deboli, colori sfumati, forme evanescenti, sono la cifra espressiva di questo artista, che predilige, soprattutto nella sua più recente produzione, privare di un forte legame referenziale i soggetti rappresentati. Si rimane perciò colpiti dalla percezione delle forme che sembrano affievolirsi sotto lo sguardo, per lasciare all’occhio di chi osserva l’esperienza di una pura e libera intuizione. Si tratta perciò di una forma d’arte che sembra voler liberare la rappresentazione dei pensieri dell’artista, così come compaiono nella sua mente, in divenire, prima di potere e di voler essere riorganizzati pittoricamente in precisi tratti figurativi.

Così come per gli oli, oppure per la serie delle fuliggini (Soot) realizzate su tela o Dibond®, o ancora attraverso il progetto PX, capace di fondere sperimentalmente l’arte fotografica a quella pittorica, Andrea Chidichimo predilige un percorso creativo caratterizzato da esiti di una "soave vacuità" e ariosità spaziale.

Sotto l’aspetto teorico ed estetico, infatti, l’artista esprime un processo creativo che si ispira allo gnosticismo, riproducendo il contrasto esistente tra realtà terrena e il mondo del Bene e della Verità attraverso un efficace antagonismo espressivo tra razionale e irrazionale. Tra idee, percezioni, sentimenti e ricordi, nel loro continuo e contemporaneo fluire e un oggettività abbozzata e parziale.
In questo senso l’evanescenza del segno e la liquefazione del colore diventano affascinante marca stilistica di questo maturo artista contemporaneo.
Corriere dell'Arte. Dicembre 2013

Leonardo Anfolsi, scrittore e monaco zen

Le tecniche pittoriche occidentali - non essendo "calligrafiche" - sono notoriamente lente, diciamo "collose"; riuscire a non dare l'idea di "materico" significava per il pittore il dominio della tecnica. Così la dominava, per fare un esempio, Van Eyck; costui segna il momento nel quale si passò dalla tempera all'uovo ai colori ad olio. Come è sempre stato in occidente, fino a Van Gogh ed agli impressionisti francesi, la pennellata doveva scomparire, come scompare nei quadri di Andrea Chidichimo oggi. La creatività di chi guarda le sue opere coglie un magma in movimento quando in realtà è più semplicemente uno spiazzante lavoro dinamico, che lascia alla creatività del testimone il rinvenimento di un senso interiore, non più di una traduzione in termini concettuali, e soprattutto una relazione fra vuoto e forma. "s'annega il pensier mio", diceva Leopardi, e così anche Andrea Chidichimo piazza la sua mina pittorica in attesa di un salto oltre la forma di chi guarda; i colori, con la loro vertigine, fanno il resto. Mi sovviene Guglielmo di Aquitania: 
"Farò un canto sul puro nulla
né su di me né su altra gente
né su amore né su giovinezza
né su nient’altro
l’ho cantata/composta 
dormicchiando su un cavallo"